Time to (design) think!

Un ruolo delicato come quello dell’imprenditore prevede una moltitudine di responsabilità. Prime fra tutte, quelle relative alla guida strategica, in nome della quale si elaborano gli obiettivi di business e prendono vita tutte le attività della popolazione aziendale. Chi guida deve “avere fiuto” per le opportunità, ma, soprattutto, essere in grado di fare previsioni e prendere le decisioni migliori. Come fare? Sono l’esperienza e la capacità di adattarsi a eventuali imprevisti che ci vengono in aiuto.

“Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell’allevamento in cui era stato portato, gli veniva dato il cibo alle 9 del mattino. E da buon induttivista non fu precipitoso nel trarre conclusioni dalle sue osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. Così arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni più disparate. Finché la sua coscienza induttivista non fu soddisfatta ed elaborò un’inferenza induttiva come questa: ‘Mi danno sempre il cibo alle 9 del mattino’. Questa concezione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato.”

La storia del tacchino induttivista, elaborata da Bertrand Russell per dimostrare l’inconsistenza del ragionamento induttivo, è un buon esempio per mostrare come le previsioni, anche se basate su dati reali, possano essere fallaci.

Qualcuno dirà: i dati del tacchino erano prettamente empirici, come tali non certi. Non parliamo di numeri, statistiche, di calcoli sulla reale probabilità. Tuttavia, quando una possibilità può dirsi reale? 

Nello scorso articolo di questa serie, ci siamo focalizzati sulla diversa capacità predittiva che le varie funzioni aziendali sono chiamate ad avere per poter portare a termine il proprio lavoro.

Abbiamo anche scoperto quanto la formulazione di una previsione sia basata su molteplici fattori, e non tutti razionali: lo psicologo israelinano Daniel Kahneman, che scomodiamo nuovamente anche in questo articolo, e l’economista Vernon Smith, nel 2002 mostrarono addirittura come i processi decisionali – strettamente correlati a quelli predittivi – siano in parte influenzati da euristiche e bias cognitivi.

Il meccanismo previsionale

Fin dalla scuola primaria impariamo che gli eventi possono essere, fondamentalmente, di tre tipi:

  • eventi certi: cose che sicuramente accadranno;
  • eventi impossibili: cose che sicuramente non accadranno;
  • eventi possibili: qui si apre un mondo, perché per poter prendere decisioni dovremo farci un’idea di quanto sia probabile un evento o, in altri termini, con quale grado di sicurezza possiamo aspettarci che un certo evento si verifichi.

Sulla capacità di prevedere la probabilità di una serie complessa di eventi che molto spesso sono dipendenti da altri eventi anche loro probabili si gioca la nostra capacità di pensare al futuro. I tipi di ragionamento che ci guidano nella valutazione della quotidianità e, dunque, nell’esercizio della previsione e della presa di decisioni, sono principalmente tre:

RAGIONAMENTO DEDUTTIVO: va dall’universale al particolare, le premesse sono certe, ma non si aggiunge conoscenza nuova al concetto iniziale.

RAGIONAMENTO INDUTTIVO: va dal particolare all’universale, si parte quindi dall’esperienza concreta e si arriva a conclusioni generali. 

RAGIONAMENTO ABDUTTIVO: teorizzato dal matematico e filosofo Peirce,  serve in quei casi in cui si conoscono i risultati particolari e si vogliono trovare delle ipotesi per spiegarli.

Fingiamo ora di entrare nella testa di un imprenditore, il quale ha il compito di ipotizzare la direzione a medio-lungo termine: ecco che vediamo messi in campo tutti i tipi di ragionamento sopra elencati, perché, nell’elaborazione di un ragionamento complesso, tutte le diverse facoltà razionali vengono chiamate a collaborare. Inoltre, dobbiamo ricordarci un punto fondamentale di partenza, cioè che non tutte le nostre informazioni sono ugualmente affidabili e che sicuramente abbiamo delle grandi zone d’ombra che non ci permettono di essere sicuri. Non solo, ma, come illustrato, tutte le tipologie di ragionamento sono valide, ma ognuna contribuisce con un “pezzetto” di conoscenza che, da solo, non può – quasi mai –  fare una certezza. Lo sa bene il tacchino induttivista, che, partendo dagli elementi collezionati in un dato periodo di tempo, era arrivato a formulare un giudizio più ampio.

Proprio come lo sventurato animale della metafora di Russell, nel mondo del business dobbiamo abbandonare la semplice speranza e trovare degli indizi che ci permettano di ridurre la superficie dell’ ignoto, senza dimenticare che, talvolta, la direzione che scegliamo di prendere è influenzata anche da aspetti irrazionali, come i bias, appunto. Kahneman e Tversky, all’inizio degli anni Settanta, formularono il cosiddetto “bias della disponibilità”, che è un buon esempio che può fare al caso nostro. Si tratta della tendenza a formulare giudizi basati sulle informazioni maggiormente disponibili, ovvero quelle che per prime ci vengono in mente. Tendenzialmente, questo bias è funzionale alla vita quotidiana: ci guida nelle nostre scelte, indicandoci la strada più semplice per rispondere ai nostri bisogni. Tuttavia, quando si tratta di trarre una conclusione strategica, come può essere quella di un imprenditore che sta dando la direzione all’azienda, un errore di valutazione di questo tipo può avere un grande peso. 

Come fare, quindi, quando si è in una posizione di comando e si ha anche la responsabilità di molte altre persone?

Le previsioni in azienda

Spesso non è indispensabile un’estrema precisione nelle previsioni perché la cosa più importante è la tendenza: se ipotizzassimo di fatturare 4 milioni di Euro alla fine dell’anno prossimo, probabilmente, se fatturassimo poco più o poco meno non cambierebbe lo stato di salute della nostra impresa.

In termini di ipotesi, quello che ci è più utile sono degli scenari che identificano dei campanelli – non necessariamente d’allarme – che ci facciano capire, durante il percorso e non solo alla fine, se complessivamente stiamo tendendo verso lo scenario previsto nei tempi e nei modi ipotizzati. Questi campanelli sono utili all’imprenditore per poter realizzare al momento adatto se si sta andando nella direzione giusta o meno.

E se, malauguratamente, scoprissimo che tale direzione non è corretta?

Sarà necessario capire quali ipotesi non si sono verificate (o si sono verificate in modo diverso dal previsto, portando, ad esempio, a conseguenze non del tutto preventivate) e identificare nuovi scenari e azioni correttive da mettere in campo, che ci permettano di ridurre ulteriormente l’incertezza e di correggere la direzione intrapresa, anche se siamo “in corsa”.

Non esiste una formula prestabilita, né un iter predefinito che ci riporterà verso l’obiettivo che ci eravamo prefissati. Tutto questo può essere riassunto con il termine: esperienza.

A volte è necessario adeguare – se possibile – i nostri obiettivi alle nuove evidenze, altre è invece necessario attuare delle azioni correttive. Ciò che, tuttavia, in ogni scenario possibile è importante da mantenere è l’ingaggio del proprio team, che deve seguire la nuova direzione data, anche se il cambiamento è stato repentino.

Una volta identificato il nuovo indirizzo da seguire, è necessario creare le condizioni che consentano alle persone dell’azienda di “salire a bordo del cambiamento”. Infatti, non è sufficiente che la direzione sia stata definita, è necessario trasmetterla alle persone in azienda (direttamente o indirettamente nel caso di realtà di grandi dimensioni e con una struttura particolarmente articolata), dando loro tutti gli strumenti necessari, operativi e non, per comprendere il cambiamento e metterlo in pratica. A volte è necessario rimuovere ostacoli che renderebbero impossibile attuare le nuove direttive (pensiamo a policy aziendali, ad esempio); altre volte invece serve dare supporto, concettuale o concreto che favorisca la trasformazione (come la formazione o l’inserimento di nuovi strumenti operativi); o, ancora, potrebbe servire dare alle persone maggiore libertà d’azione lasciando loro sperimentare delle nuove modalità (ad esempio, nei processi).

Nel prossimo articolo ci focalizzeremo proprio sulle persone del team che devono adeguarsi al cambiamento: adattività ed esperienza, infatti, non sono solo requisiti che della direzione, ma che anche il team deve essere in grado di metterle in pratica, a dimostrazione di come ogni azienda sia un ecosistema vario, che per prosperare deve essere compatto.