
Illustrazione di Aurora Altea
Esercitare la leadership significa essere in grado di evolversi in continuazione, in base alle persone con cui ci si relaziona, al contesto e soprattutto ai bisogni dell’azienda e di chi vi lavora. In questo articolo, vi proponiamo una riflessione su questo tema, prendendo in prestito alcune considerazioni del filosofo John Stuart Mill circa la necessità di lasciare spazio all’individualità, e sviluppandole nel contesto aziendale.
“La natura umana non è una macchina da costruire secondo un modello e da regolare perché compia esattamente il lavoro assegnatole, ma un albero, che ha bisogno di crescere e svilupparsi in ogni direzione, secondo le tendenze delle forze interiori che lo rendono una creatura vivente”
– J.S. Mill, “Saggio sulla libertà.”, Il Saggiatore, Milano, 2002, p. 68.
John Stuart Mill nel famoso “Saggio sulla libertà” (“On Liberty”, titolo originale) analizza, tra i vari temi, il rapporto che intercorre tra libertà – di pensiero e d’azione – dell’individuo e società.
Come noto, le posizioni politiche ed economiche di Mill si inseriscono nell’ambito del pensiero liberista, che in questa sede, però, non andremo ad approfondire. Della ricca riflessione di Mill, prendiamo in prestito, invece, alcune considerazioni su “(…) l’importanza per l’uomo e la società di una larga varietà di caratteri, e di una completa libertà della natura umana di espandersi in direzioni innumerevoli e contrastanti”. (J.S. Mill “Autobiografia”, a cura di F. Restaino, Laterza, Bari, 1976, p. 197, citato in prefazione di G. Giorello e M. Mondadori a J.S. Mill, “Saggio sulla libertà.”, Il Saggiatore, Milano, 2002, pp. VII-VIII.)
In altre parole, parliamo dell’importanza di permettere all’uomo di pensare e agire liberamente.
Questo è il punto di partenza che vorremmo usare per approfondire le dinamiche dell’universo aziendale. Nello scorso articolo (L’universo come equilibrio di forze contrarie: la visione di Eraclito applicata al mondo aziendale) abbiamo visto come per il management sia importante riuscire a dare una direzione all’azienda, controllando che sia condivisa e seguita da tutti, ma – al contempo – lasciando libere le persone di trovare una strada personale per concretizzarla. È proprio da qui che vorremmo ripartire: utilizzare un approccio di questo tipo, comporta, infatti, notevoli benefici. Tuttavia, riuscire ad applicarlo significa per molti un vero e proprio cambio di paradigma, che implica l’insicurezza dell’outcome (di questo ne parleremo meglio in un prossimo articolo).
Dunque, il vero “elefante nella stanza” è la relazione tra controllo – che si perde – e la libertà delle persone – che si dà –.
“(…) è importante che vi sia la più ampia libertà di svolgere ogni attività inconsueta, affinché col tempo emergano chiaramente quelle che meritano di diventare consuetudini.”
– (J.S. Mill, “Saggio sulla libertà.”, Il Saggiatore, Milano, 2002, pp. 77-78)
2. In che direzione deve evolvere lui stesso per essere la persona giusta a guidare questo cambiamento?
Chi vi scrive, quando parla di leadership si riferisce al significato moderno che si dà a questa parola: non la consideriamo come un tratto innato di una persona in grado di guidare le altre, ma come una modalità di relazione con gli altri che deve essere adattata e fatta evolvere in base alla crescita della persona, del contesto attorno a essa e soprattutto in rapporto ai bisogni dell’azienda e di tutti coloro che la compongono.
Possiamo identificare cinque tipologie di leadership:
Autoritativa (o autocratica), che mantiene una netta separazione tra leader e follower. Spesso è applicata in contesti con un elevato turnover dei dipendenti, ma può essere adatta anche in quelle realtà dove i follower sono relativamente inesperti o dove non c’è il tempo di portare avanti decisioni di gruppo.
Partecipativa, che è caratterizzata da un elevato livello di ingaggio dei follower. Permette performance elevate e mantenute nel tempo, soprattutto dove ci sono buone relazioni tra i vari componenti del team. In questi casi spesso c’è una buona motivazione, un’alta cooperazione, e un ottimo grado di competenza da parte dei follower.
Delegativa (o laissez-faire), nella quale il leader delega responsabilità, il fatto di prendere decisioni e di risolvere i problemi ai follower, con un minimo intervento da parte sua. Il requisito per poterla applicare è avere follower con solide competenze affinché possano portare avanti la maggior parte dei compiti in autonomia.
Transazionale, nella quale avviene uno scambio tra il leader e i follower. Ad esempio, con premi e misure correttive per spingere le persone a seguire le regole o raggiungere gli obiettivi fissati.
Trasformativa, che è caratterizzata dall’andare oltre i singoli obiettivi o il tornaconto personale, ma che agisce sulla trasformazione dei valori dei follower per allinearli a quelli del gruppo, del team e dell’organizzazione in generale. In questo caso il compito del leader è di definire la visione della propria organizzazione e di assicurarsi che i follower “sposino” tale visione.
Non esiste uno stile di leadership giusto e uno sbagliato: ognuno dei cinque ha caratteristiche diverse che si applicano a follower e contesti differenti, e – soprattutto – ognuno di noi ha uno stile di leadership che gli risulta più naturale degli altri. Proprio per questo, è essenziale che il leader sia in grado di accettare – prima – e imparare – dopo – a evolvere egli stesso per poter favorire i cambiamenti in azienda e nelle persone che la compongono.
La leadership, come il design, ha un aspetto profondamente umanistico, perché deve bilanciare il “cosa”, cioè i bisogni aziendali (di direzione, di risultati, ecc.) con il “come”, ovvero il modo per permettere che tali necessità vengano soddisfatte. Per garantire la prosperità e salvaguardare il futuro dell’azienda è fondamentale non sacrificare nessuno dei due aspetti: questo equilibrio deve essere mantenuto in maniera fluida, e spetta al leader capire come contro-bilanciare eventuali spostamenti del baricentro dovuti alle azioni dei follower. Questo accade perché il leader sa qual è l’obiettivo, ma non può aspettarsi che tutti i follower siano al suo stesso grado di consapevolezza, di competenza e di leadership, appunto. Dunque, l’unica soluzione percorribile (oltre alla formazione delle persone) è che sia il leader a essere quanto più fluido possibile, per non creare rotture lungo il percorso:
“Un uomo del genere può solo chiedere la libertà di indicare la via: il potere di costringere gli altri a seguirla non solo è incompatibile con la libertà e lo sviluppo di tutto il resto, ma corrompe lo stesso uomo forte”
– J.S. Mill, “Saggio sulla libertà.” , Il Saggiatore, Milano, 2002 –
(Mill in questo passaggio sta parlando del Genio)
Ma quindi, se il manager deve dare la direzione e delegare ad altri l’attuazione, come si può ridurre il rischio che qualcosa non vada come desiderato?
La risposta è: tramite la scelta delle persone giuste, sia a livello valoriale che di approccio, la responsabilizzazione di queste e la loro formazione continua.
La formazione rappresenta, infatti, la vera chiave di volta per poter crescere come professionisti, ma anche per far evolvere ogni tipo di business, sotto tutti i punti di vista. Per questo, è fondamentale identificare quali sono gli ambiti e le competenze che si ha urgenza di implementare e quali, invece, non è prioritario internalizzare (e per questo, se come Twig possiamo darvi una mano, considerateci a disposizione).
Nel prossimo articolo tratteremo il tema delle competenze, per il quale lasceremo la parola a chi nell’ambito della formazione e della crescita delle persone ci vive quotidianamente.