
In un’agenzia di designer l’esperienza delle persone è il punto di partenza e il centro dei progetti. Ma questo approccio human driven, forse è ancor più tangibile quando scendiamo in campo come formatori. Anche quando di tangibile ci può essere ben poco, come è avvenuto nell’anno della Pandemia…
Ci sono incontri che segnano un percorso. Incontri in cui crescere insieme è il vero percorso.”
In Twig questo mantra ci guida quando accompagniamo i nostri clienti e i nostri studenti in qualità di formatori. Quest’anno l’emergenza Covid-19 ha messo alla prova anche il nostro rodato equipaggiamento e noi abbiamo accettato la sfida.
D’altra parte, come mi ha insegnato un saggio una volta, “un progettista riconosce un limite, lo interpreta come vincolo e lo trasforma in un’opportunità”.
Così ho invitato i miei colleghi a un tavolo digitale per condividere il percorso di formazione a distanza di questo 2020, che si prepara a congedarsi, lasciandoci più doni, forse, di quelli che oggi riusciamo a già a vedere.
Quelli che… hanno partecipato a un’intervista multipla a distanza
Un grande grazie ai twigger che hanno condiviso le loro esperienze: Giulia, Katia, Marco, Neva, Niccolò, Rita, Serena, Umberto.
Quelli che… quest’anno hanno formato a distanza, ma sempre con passione in ogni dove.
Lo hanno fatto per i team delle aziende che si sono affidate a noi per i servizi di coaching.
Lo hanno fatto al Master in Brand Communication e al Master in Digital Strategy del Politecnico di Milano gestito da POLI.design, dove Twig è responsabile del modulo di Digital Go To Market.
Lo hanno fatto al Laboratorio di Sintesi finale e al Corso in Digital Strategy della Scuola del Design del Politecnico di Milano.
Lo hanno fatto alle Sessioni di Laurea degli ultimi mesi, presso la Scuola del Design del Politecnico di Milano.
Lo hanno fatto anche in Twig… eh sì, giochiamo anche in casa per crescere.
Quelli che… da bravi docenti non smettono mai di imparare…
Eh già, perché è proprio vero… anche quando e soprattutto quando si insegna.
“Nella formazione a distanza gioca un ruolo fondamentale il fatto che tu conosca o meno le persone a cui vai a fare DaD. La relazione, naturalmente, ti consente di avere già creato quel canale attraverso cui far passare le informazioni e che ti consente di ottenere fiducia da parte degli studenti” riconosce la nostra EA Giulia, che è Docente del Corso in Digital Strategy e Direttrice del Master in Digital Strategy.
“Le revisioni del Corso DS ( dedicato a studenti del Corso di Laurea triennale e magistrale della Facoltà del Design – NDR) erano molto più faticose, ma non è stato possibile trovare un metodo diverso. Io sento tantissimo la mancanza della lavagna e non ho ancora trovato un degno sostituto digitale.
Riguardo invece i momenti di revisione dei lavori fatti a casa dagli studenti, col senno di poi riconosco che avrei potuto far usar loro strumenti in cloud come Google Drive, così da da avere modo di ‘toccare’ le slide di presentazione dei loro progetti, lasciandoli poter esporre il lavoro liberamente, ma guadagnando la possibilità di scorrere tutte le slide senza interromperli. In DaD vanno poi ricalibrati i pesi delle lezioni: le persone perdono l’attenzione più velocemente e hanno più distrazioni a cui difficilmente riescono a sfuggire. Meglio optare per lezioni più brevi, integrate con del materiale discorsivo a fornire parte e da far leggere in autonomia preferibilmente prima della lezione. In questo modo si accede alla lezione con alcune idee di base e si riesce ad ascoltare trovando risposte alle domande e quindi aumentando la possibilità di seguire con profitto.” sottolinea la nostra COO Neva, che ha offerto la sua formazione sia al Master sia al Corso in Digital Strategy.
“La DaD è stata una sfida perché abbiamo dovuto reinventare le lezioni, il modo di relazionarci con gli studenti. Sicuramente questa esperienza ha aumentato delle mie capacità che prima erano latenti o che non c’erano. Per necessità ho dovuto rivedere il concetto di flessibilità nella gestione delle singole lezioni. Prima ero flessibile rimanendo in una zona di comfort, adesso devo essere flessibile toccando modalità, strumenti e temi che non mi rendono sempre sicura – rivela la nostra EA Katia, Docente al laboratorio di Sintesi Finale – Un aspetto che mi ha arricchito, ma la fatica è tantissima”.
“Le attività si riducono come tempistiche ed è preferibile andare a spacchettarle in più incontri (anche se comunque ravvicinati per non perdere il filo). Mentre in presenza si possono tranquillamente fare 4 ore (con una pausa in mezzo) di co-design filate, in digitale diventa più difficile mantenere alto per tutti il grado di attenzione per così tanto tempo.”, spiega anche la nostra service designer Serena, che ha accompagnato alcuni nostri clienti in un percorso di co-design.
“In alcuni casi, la principale problematica è che la formazione a distanza implica una comunicazione che deve essere ben programmata e che può richiedere tempistiche più dilatate nel tempo e meno immediate.”, evidenzia la nostra Digital Marketing Specialist Rita, che quest’anno si è cimentata con la formazione al Master in Brand Communication e in Twig.
“Un aspetto interessante della DaD – aggiunge Marco, nostro CEO, Managing partner del Master in Digital Strategy e Docente del Politecnico di Milano – è che non ha ridefinito solo il modo di relazionarsi con gli studenti: ha suggerito una nuova modalità per interagire con i colleghi. Ciò è stato possibile perché alcuni di noi non hanno semplicemente accettato la DaD per quella che era: hanno deciso di darle una direzione. Di tirarci fuori qualcosa di appagante per se stessi, senza tradire la promessa alla base della formazione: esserci, semplicemente. Sono nate esperienze didattiche nuove, dove la didattica tradizionale si è mescolata ad ambiti non ancora esplorati, rendendo l’apprendimento una parentesi incredibilmente stimolante, in primis per noi docenti.”
Quelli che… il physique du rôle, ovvero la relazione umana e il feedback d’aula.
“L’impatto emotivo è stato strano, stranissimo, diverso. Difficile perché non si vedeva nulla… perché a parte poche persone che mantenevano sempre la webcam accesa, mancava il feedback d’aula. A volte era era un po’ come parlare con se stessi” racconta il nostro EA Niccolò, che ha insegnato al Master in Digital Strategy durante il primo lockdown.
“Mentre all’inizio quasi nessuno accendeva la videocamera, adesso lo fanno praticamente tutti, senza che noi glielo chiediamo in modo esplicito. Noi non glielo abbiamo mai chiesto se non davanti agli ospiti. Per cui è proprio una loro naturale evoluzione: passare dall’essere un muro senza volto a essere una platea di persone partecipative con la webcam accesa. E questo è importante soprattutto quando si parla di revisioni di gruppo.” spiega ancora Katia.
“Durante la prima sessione di co-design, con un cliente alcuni dei partecipanti ci hanno presentato anche i loro bambini, che erano nella stanza accanto ed è stato un momento molto emozionante – ricorda Serena – ci ha permesso di conoscere di più le persone con le quali stavamo lavorando”.
Quando i clienti sono sparsi per il mondo, poi, la DaD è già una pratica rodata e durante il lockdown gli appuntamenti dedicati alla formazione sono stati vissuti dalle persone coinvolte come “un modo per sentirsi vicini in un momento difficile, uno stimolo differente e questo ha dato risultati molto soddisfacenti” come evidenzia Giulia.
E Umberto, che ha offerto la sua formazione al Laboratorio di Sintesi finale del Politecnico di Milano riflette: “Trovarsi a parlare ad uno schermo senza possibilità di empatizzare con gli studenti e poter interpretare le loro espressioni, ha reso tutto un po’ alienante. Come durante tutto il periodo di emergenza, le relazioni si sono raffreddate a causa del digitale. Fa un po’ strano, per chi come me ha come oggetto della sua professione il digitale, comprendere i limiti di strumenti che in realtà hanno permesso di avvicinare notevolmente qualunque mercato o utente, ovunque esso sia.
D’altro canto per quanto questo momento sia stato complicato per ognuno (studenti e professori), penso ci abbia permesso di apprezzare ancora di più tutto quello che prima potevamo ritenere “normale”. In particolar modo proprio la relazione umana… che forse dovremo tornare ad allenare perché arrugginita.”
“Mi è mancato non poter interagire in tempo reale e in modo informale, non avere un feedback delle “facce”, non riuscire a costruire un rapporto di scambio – soprattutto al Corso DS perché erano più di 60 studenti”, condivide Neva.
“Prima del lockdown, in aula io generalmente camminavo tantissimo, usavo la presenza fisica come uno strumento per essere davvero presente, a disposizione, per dire agli studenti ‘il docente c’è’, capisce i vostri momenti di stanchezza, capisce cosa non è chiaro – prosegue Niccolò -. Non essere in aula è stato veramente difficile. Devo dire, però, che con la classe si è creato un comunque un bel rapporto umano e formativo”.
“Quando fai lezione in presenza in qualche modo avverti l’aula, la sua sensazione, quanto sono coinvolti o meno gli studenti in quello che stai raccontando. E questo ti aiuta tantissimo nel mutare il tono di voce, la modalità di racconto, all’interno anche della stessa lezione. Non avendo più questo feedback immediato, è molto complesso gestire l’attenzione – interviene Katia – E d’altra parte penso che per gli studenti sia una grandissima fatica seguire per giorni interi persone che parlano. Lo vedo io dal punto di vista lavorativo, facendo call tutto il giorno. Quindi la principale differenza è proprio la relazione umana, fisica, che restituisce tutte quelle coloriture quando hai davanti una persona e che chiaramente crea un forte disagio sia negli studenti sia in chi eroga formazione nel momento in cui non c’è perché è come se si raffreddasse tutto.”
“Questi ultimi mesi di DaD – aggiunge Marco – hanno messo alla prova il mio concetto di prossemica: la presenza, come in tutte le forme di relazione, è il fattore centrale per alimentarne il canale. Nella didattica assume un ruolo ancor più determinante, perché si lega alla fiducia: condivido i feeling di Niccolò, le maggiori difficoltà che ho incontrato sono state l’assenza di uno spazio fisico in cui esprimersi come individui – al di là dell’utilizzo della parola e, al contempo, l’impossibilità di attivare tutti quei “tradizionali” recettori utili a “sentire” davvero la classe. Ho dovuto allenare un nuovo tipo di consapevolezza, basata più sull’ascolto del silenzio, che sulla gestione del rumore: se pur non in linea con la mia concezione ideale di didattica, la DaD è stata comunque una stimolante occasione per riscoprire come fare la differenza, semplicemente guadagnando la telecamera accesa e il microfono attivo di ognuno dei miei ragazzi.”
Quelli che… le trovate twiggose
Tra le soluzioni di ingaggio più articolate e interessanti, c’è sicuramente quella adottata dal Master in Digital Strategy, come racconta Giulia:
“Forti dell’esperienza politecnica e di quella con il team di un cliente, al Master quest’anno abbiamo attivato una Digital Squad: un percorso preparatorio a quello del Master, in cui lavoriamo sulle soft skills e sulla parte più emotiva delle persone per capire quali sono le predisposizioni di ciascuno. In questo caso quello che ha funzionato tanto è stato costruire una dinamica di gioco: abbiamo costruito un mondo narrativo da cui non usciamo mai, la nostra missione spaziale su Marte. Abbiamo chiesto alle persone di scegliere un soprannome e un oggetto attraverso il quale raccontarsi. Questa cosa ha creato subito empatia con e tra le persone. Non vedo l’ora di replicare questa esperienza in presenza perché potrebbe essere una figata paurosa, al netto che è già una figata.”
“Raccontare quattro professioni legate alla trasformazione digitale è di per sé, un argomento non proprio leggero: farlo attraverso un monitor rischia di essere tremendamente noioso – ci racconta Marco. Abbiamo quindi cambiato il punto di vista: abbiamo calato queste professioni in un mondo narrativo alla Elon Musk, costruendoci sopra una dinamica di “role play game” alla Cyberpunk 2020 dove gli studenti fossero talmente protagonisti della narrazione, da poterne modificare il corso attraverso decisioni singole e di gruppo. A fare da guida la nostra game master, Silvia, supportata da Giulia e da me in qualità di Governatori di Marte… ragazzi, non ho mai visto tanta profondità di contenuto emergere da un gruppo di studenti a inizio Master.
Quelli che… il primo amore non si scorda mai…
C’è chi come Serena, smania per riprendere in mano strumenti di lavoro un po’ accantonati: “Non vedo l’ora di tornare a usare i post-it in presenza e guardare le persone negli occhi mentre costruiscono sulle idee degli altri.”
E quelli come Marco, che: “..va bene che la DaD è un’opportunità, e che dobbiamo tutti “surfare l’onda” , ma quando laurei la tua cinquantacinquesima studentessa (questa volta, da remoto) capisci che questo periodo non può che essere una parentesi da chiudere in fretta. Perché non c’è nulla che possa sostituirsi alla proclamazione dal vivo, quel momento magnifico in cui guardi negli occhi tutti gli studenti emozionati, i loro genitori affascinati, i loro amici eccitati, e crei un ponte con il tuo passato: ti ricordi la tua prima volta, da studente come da relatore. E capisci che non c’è telecamera al mondo che potrà mai valorizzare davvero l’intesa, l’affetto e lo spirito di protezione che si manifesta con maggior intensità, proprio quando li saluti per l’ultima volta – prima di lasciarli andare.
Altri come Niccolò, invece, hanno trovato spazio per riportare in auge vecchi amori… “Usavo Paint per disegnare come se fosse una lavagna – racconta – Ho provato anche le jamboard di Google, ma niente funziona come Paint in questi casi!”.
Quelli che… le persone sempre al centro
Nonostante i limiti del contesto e la necessità di reinventare il processo formativo, i nostri twigger-prof hanno superato l’esame alla grande. Anche riuscendo a costruire quella relazione umana apparentemente difficile da intrecciare con la DaD, ma sempre fondamentale per una formazione di qualità.
Un esempio su tutti lo troviamo in uno dei ricordi di Niccolò, entrato talmente in sintonia con i suoi studenti nonostante tutto da condividere con loro quello che rimarrà uno dei momenti più emozionanti della sua vita… “Un giorno, mentre facevo formazione nella stanza accanto alla mia c’era anche Silvia, mia moglie, che proprio in quel momento ha ricevuto i risultati dell’analisi genetica per il bambino che stavamo aspettando. Non potendo resistere, ha infilato un cartello attraverso la porta… Ho scoperto che sarei diventato papà di una bambina e non ho trattenuto la commozione: è stato un momento molto emozionante anche per i miei studenti”.