
Il digitale è un gioco a cui le aziende si trovano a dover giocare, volenti o nolenti e la diffusione della cultura digitale tra i dipendenti è un tema prioritario per chi opera nella consulenza. Cultura digitale che può rivelarsi cruciale nel capire il meccanismo alla base del rapporto tra informazione digitale e Coronavirus.
Permettere alle aziende di cogliere le opportunità della trasformazione digitale è uno dei nostri ambiti principali di intervento: semplificazione dei processi, monitorabilità delle performance, ottimizzazione della relazione col cliente e dell’advertising… Questi sono i temi centrali oggi nel dialogo attorno al tema della digital culture.
Il senso della cultura digitale, però, non si ferma all’ambito aziendale.
Mai come in questi giorni, mi rendo conto di quanto la cultura digitale possa fare la differenza per le persone, ancora prima che per le aziende. Sin dall’inizio dell’emergenza in Italia, è diventato lampante quanto informazione digitale e Coronavirus siano un esempio di una comunicazione studiata ad hoc e progettata secondo precise regole di advertising digitale, per accalappiare le dita di milioni di italiani che scrollano ansiosamente Facebook, digitano febbrilmente su Google e infuocano il bottone “inoltra” di WhatsApp.
E lo fa sfruttando meccanismi propri dell’advertising digitale.
1. Click Baiting
La misurazione del successo di un contenuto sui social network si misura (anche) attraverso il CTR (click-through rate), ovvero: quanto spesso un utente clicca su un link per approfondire.
Per invogliare il più possibile l’utente a cliccare, alcuni ricorrono a un messaggio di comunicazione studiato appositamente per lasciare intendere qualcosa, senza però svelarlo del tutto. Possibilmente, usando qualche keyword “calda” (es. “flash”, “breaking news”, “tenuto nascosto”, “segreto”, “incredibile!” ecc.). Tutto, purché l’utente senta l’assoluto bisogno di cliccare, per non perdersi quell’informazione.
Aprite Facebook e cercate un post di una testata qualsiasi. Osservate i post più cliccati, specialmente a ridosso del weekend. Nel corpo del testo, notate una parola o un concetto caldo, che fanno intuire che, cliccando sul link correlato, potrete scoprire qualcosa che sicuramente vi interesserà e che non potete perdervi? E poi, cliccando sul link per aprire l’articolo, scoprite che in realtà si parla di ipotesi, o che l’informazione è completamente diversa da quanto lasciato intendere?
Sì? Bene, siete appena stati adescati da un’azione di click baiting.


2. Sensazionalismo e pain point
Quando si progetta un messaggio di comunicazione, uno dei principali punti di partenza è lo studio dei bisogni e, in particolare, delle preoccupazioni del target (“pain point”). Questi vengono poi tradotti in una narrazione familiare per l’utente
Un esempio: molti utenti tendono a cadere in parallelismi poco verosimili tra l’attuale situazione e il tempo di guerra. Analizzate i vostri feed oppure le testate dei giornali online che seguite, e, tra i titoli e i post che parlano di coronavirus, contate quante volte vengono usati termini sensazionalistici come “strage”, “situazione esplosiva”, “trincee”, “eroi”.
3. Quando una parola vale più di mille parole: il lessico “giusto”
Occupare uno spazio per comunicare costa denaro, tempo o attenzione dell’utente. Soprattutto nell’advertising digitale, si tende quindi a sintetizzare la propria comunicazione con parole il più possibile significative e “calde” (di potenziale interesse per l’utente).
Sapevate che al nascere dell’emergenza coronavirus, l’OMS e Unicef hanno stilato un compendio per invitare i media a utilizzare lessico corretto? Un esempio: evitare di tradurre il complesso “Covid-19” in “virus cinese”, “virus di Wuhan” o “virus asiatico”. O anche evitare di parlare di persone che “infettano” o “trasmettono” il virus, per evitare di insinuare colpevolezza in questi soggetti.
Fate attenzione ai contenuti che diffondete e al linguaggio che usano, perché nel diffonderli ne diventate co-responsabili. E l’effetto boomerang è dietro l’angolo…

4. Le call to action
Sempre nell’ottica della massimizzazione dell’effort pubblicitario, nell’advertising digitale la scelta della call to action (CTA) è fondamentale: si tratta di una breve frase per guidare l’utente a compiere un’azione precisa (clicca, guarda, commenta, condividi, metti like ecc.). L’efficacia della CTA sta nel bilanciamento tra meccanismi push (“fai questa cosa”) e meccanismi pull (“tu sei convinto di voler fare questa cosa”) che variano a seconda del contesto di utilizzo.
Regine delle CTA efficaci sono le tante catene di WhatsApp che purtroppo, in questi giorni, diffondono spesso informazioni errate e mendaci: tantissimi i “condividi!!” e “fai girare” mascherati nel mezzo di frasi di stampo complottistico quali “ci tengono nascosto” o “non vogliono farci sapere”.
Queste combinazioni mirano a fare sentire il lettore come se fosse chiamato alle armi per difendere la verità, per invogliarlo a diffondere la comunicazione.
La prossima volta che ricevete un messaggio WhatsApp inoltrato da un contatto, chiedetevi se il vostro primo istinto è quello di inoltrare il messaggio. Se la risposta è sì, la CTA è efficace e c’è il rischio che il messaggio sia stato progettato proprio con l’obiettivo della massima diffusione: prestate attenzione e verificate le fonti prima di condividere.


5. Empty real-time advertising
Ora usate una keyword generica per fare una ricerca su Google, ad esempio “coronavirus”. Bene, ora provate a contare quanti articoli non dicono nulla, se non riciclare cose che già si sanno oppure ipotesi e congetture.
La regola alla base di questo meccanismo si può sintetizzare con “presidio del tema”, ovvero l’appropriazione di un trending topic o di un tema “caldo”, pensato per non perdere potenziale traffico.
Purtroppo, molte testate stanno abusando di questa tattica, sacrificando il proprio ruolo informativo a favore del “l’importante è esserci, anche senza dire nulla o dare nulla all’utente, in cambio della sua attenzione”.
Conoscere i meccanismi di advertising digitale, e del digitale in generale, può aiutarci a essere più consapevoli nell’ecosistema mediatico intorno a noi, prima ancora che nel nostro lavoro?
Io sono convinta di sì, e sono anche sicura che, al crescere della cultura digitale, sempre più attori parteciperanno al gioco del digitale, e che sceglieranno di giocare in modo corretto.